mercoledì 29 gennaio 2014

Camerata BLAS PINAR: Presente!

 
 
 
 
 
Onore al Camerata BLAS PINAR LOPEZ, già Ministro del Governo del Generalissimo Francisco Franco, Dirigente della Falange Spagnola, fondatore, presidente ed editore di Fuerza Nueva, storico alleato ed amico del MSI di Almirante e Romualdi e del Front National di Jean Marie Le Pen e, con loro, fondatore della prima Destra Europea. PRESENTE!
 
 


 

 

 

"Scherma storica: il metodo di spada italiana" di Antonio Merendoni





lunedì 20 gennaio 2014

giovedì 16 gennaio 2014

La storia degli Arditi

 
 
La scuola degli Arditi a Sdricca di Manzano.
 Giugno 1917

A cura di Pierpaolo Silvestri

Chi percorre la strada che va da Manzano a Orsaria, a un dato punto deve piegare a destra, scendere la collina e raggiungere la sdricca (che in dialetto friulano significa striscia). La striscia, ovvero Sdricca si trova in una piana confinante col fiume Natisone. Là, ormai, semidistrutta, come scheletro al sole, si trova la vecchia caserma che fu del I° Riparto d’Assalto. Solo una targa che resiste al tempo, ricorda l’epopea del corpo d’èlite del Regio Esercito Italiano:

IN QUESTA CASA IL 29 LUGLIO 1917,
VENNERO CREATI I PRIMI REPARTI
DEGLI ARDITI D’ITALIA,
TERRORE DEL NEMICO, EROI DI
TUTTE LE BATTAGLIE
 
Ora tutto è silenzio, solo il canto degli uccelli e il vociare dei viticoltori (della famosa Cantina “Casaforte” –proprietari i Signori Callegaris, di Manzano-, produttori del celeberrimo “SDRICCA-L’ardito”-. Crù della Sdricca, Vol. 13°!-), rendono viva la Sdricca, ma nel 1917….
un colpo di bombarda di grosso calibro, seguito da altri, dava la sveglia agli Arditi. Lì, in quella strana caserma ricca di tende, la tromba, assai più melodiosa nel suono, non esisteva. Tutto era fragore scoppio e vociare. 
In pochissimo tempo gli Arditi, lavati, vestiti e ristorati, ordinati per plotoni erano pronti per le esercitazioni sulla “collina tipo”. Si allenavano a turni in un addestramento pericolosissimo, basta pensare che dovevano avanzare carponi sotto il fuoco della mitragliatrice, manovrata magistralmente dal Tenente Bravi il quale sventagliava le pallottole a non più di un metro d’altezza dal soldato. Ci fu solo un morto: l’Ardito si alzò in piedi e… ci rimise la ghirba.
Nell’avanzare gli Arditi erano preceduti da esplosioni di proiettili di calibro 75, distanti da loro non più che una decina di metri, dovevano tagliare, passare e scavalcare reticolati, sorpassare trincee, bocche da lupo, nidi di mitragliatrici, zaffate di lanciafiamme, scoppio di petardi, contraccambiandoli, per poi finire a fare la lotta col pugnale.
Ma prima di essere ammesso alla Scuola di Sdricca, il novizio, doveva vedersela col Capitano Rachi, inventore del famoso “pendolo”. Il machiavello consisteva in un tronco d’albero alto un metro e di 60 centimetri di diametro, del peso di un quintale, appeso con una fune a un supporto. L’aspirante Ardito, previa misurazione della sua altezza fatta in altra sede, quindi inconsapevole, doveva stare sull’attenti col cappello in testa, immobile senza battere ciglio e attendere, che il Capitano Rachi avesse regolato la fune. Aspettare che il “pendolo” lo sfiorasse e gli facesse volar via il cappello. Il povero soldato, qualora si fosse mosso o avesse chiuso gli occhi, veniva inviato al reparto di provenienza perché “non idoneo al Battaglione d’Assalto”. A tal proposito Edmondo Mazzucato, Ardito, giornalista e scrittore, descrive la sua esperienza:
 “…Vi assicuro che era un giochetto che faceva impressione. Ricordo quando capitò il mio turno. Quell’affare non mi persuadeva. Pensavo: è mai possibile che quell’omino di capitano non sbagli mai la misura, con il pericolo di spaccarti la testa con quel coso lì così poco simpatico che minaccia di farti crepare come un fesso? Prima di me su una decina di aspiranti arditi, due non superarono la prova. Io ero Aiutante di Battaglia ed avevo, quindi, il dovere di fare buona figura. Ma che fifa ragazzi: sembravo, però pietrificato. Quando il famoso pendolo me lo vidi avanzare sempre più vicino. Ecco –pensai- il capitano ha sbagliato la mira ed io vado dritto all’inferno: macchè, il berretto viene proiettato lontano ed io –il pericolo era ormai scomparso- sempre lì, impalato come una mummia e con un freddo su per la schiena che non vi so descrivere… L’istruttore Rachi ha un dubbio: suppone che io ci provi gusto:
-Aiutante, vuol provare ancora?
-Grazie, capitano, non ribevo…”
Avveniva spesso che a Sdricca giungessero delle delegazioni straniere a vedere e studiare l’addestramento. Un giorno ne arriva una inglese, comandata da un generale. Tutti gli ufficiali Arditi sono lì ad illustrare gli aspetti della scuola. Giungono al “pendolo” assistono ammutoliti e ammirati, poi il generale, si rivolge a un suo ufficiale, ordinandogli di provare. Questi a malavoglia si mette sull’attenti e… quando arriva il “pendolo” si piega ad angolo retto fra l’ilarità del generale e di tutti gli Arditi del campo.
Fra le varie attività di palestra, sempre svoltesi all’aperto, non mancavano i salti mortali, i salti acrobatici sul e col bastone, il pugilato, la lotta greco-romana, il sollevamento pesi, la corsa, la scuola di pugnale. In questo clima a Sdricca nasce il I° Riparto (in seguito verranno chiamati Reparti), seguito dal II, III, IV, V e VI, fino a che, alle ore 21 del 23 ottobre 1917 tutti i Reparti lasciano la caserma per arginare l’avanzata degli austriaci. Non vedranno più Sdricca. Passeranno per Manzano la sera del 27 ottobre, diretti a Udine.
 
29 luglio 1917. la data fatidica!
Ore 9. 29 luglio 1917. Giunge il Re, accompagnato dal Principe di Galles, dal Principe Ereditario del Belgio, dai Generali Cadorna e Porro (quest’ultimo Vice Capo di Stato Maggiore) da generali della II (gli Arditi di Sdricca dipendevano dalla II Armata) e III Armata, da ufficiali italiani ed esteri addetti al Comando Supremo, visitano Sdricca, assistendo a un’esercitazione della presa alla“collina tipo”, con aggiramento di una caverna. Il Capitano Maggiorino Radicati è al comando della Ia Compagnia e nell’assalto dimostrativo ha l’elmetto foracchiato da pallottole e il suo corpo presenta alcune ferite. Anche diversi suoi Arditi sono malconci “per eccesso di zelo”, come scrive su “L’Ardito d’Italia” Paolo Giudici. Il Colonnello Bassi, Comandante della Scuola, dopo più di un’ora di colloquio col Sovrano, al quale ha illustrato i criteri di assalto della nuova specialità, riceve l’imprimatur. Nell’incontro al Re vengono forniti dati raffrontati fra loro, uno dei quali, a esempio, è stupefacente: il peso che ogni soldato deve portare quotidianamente, cioè il paragone fra l’equipaggiamento della fanteria con quello degli arditi: Fanteria: divisa e oggetti di corredo con elmetto Kg. 8,50; fucile con baionetta e buffetterie kg. 5,30; 5 bombe a mano assortite di medio peso Kg. 4,50; dotazione di cartucce Kg.4,55. Totale Kg. 22,85. Arditi: divisa e oggetti di corredo con elmetto Kg. 3,40; moschetto con pugnale e buffetterie Kg. 3,40; Cartucce Kg. 1,900; 12/15 petardi Thèvenot (circa kg.0,400 cadauno) 5,28. Totale Kg. 15,58, contro i 22,85.!

Ricordiamo le battaglie di quei gloriosi Cavalieri della Morte:
19 agosto 1917. Gli Arditi sono sul Monte Fratta, ad Auzza, sul Sommer, a Belpoggio, sul San Marco, alla Bainsizza.
4 settembre sul San Gabriele.
Sempre a settembre a Quota 800 della Bainsizza.
Il 18 ottobre a Yhr-Scutz (Quota 814 di Kal.) e sul Rombon.

A.N.A.I.
Sdricca di Manzano. La caserma come si presentava nel 1999. (foto PP. Silvestri)
 
 
A.N.A.I.
90° di fondazione del Corpo degli Arditi. Raduno Nazionale 30 settembre 2008. La caserma dei primi Reparti d’Assalto. (foto PP. Silvestri)

 

DISCIPLINA !



A cura di Pierpaolo Silvestri

 
Parlando della disciplina del Corpo degli Arditi, bisogna affrontare un capitolo a parte, perché ci sono molte interpretazioni con molti sfasamenti storici.
 
Nel libro scritto da Padre Reginaldo Giuliani “Gli Arditi –breve storia dei Reparti d’Assalto della Terza Armata” (Ed. Treves. 1926) nel capitolo “Il cuore degli Arditi”, a pagina 30 –paragrafo 2- il Cappellano parla della loro disciplina. Lasciamo a lui la parola:
“L’elemento scelto delle truppe d’assalto impose una forma di disciplina, più intelligente, più dolce, ma non meno efficace ad ottenere il rispetto e l’obbedienza.
La disciplina nell’esercito si informa variamente allo spirito dei diversi corpi: altra è la soggezione del fante, altra quella del bersagliere, altra quella dell’alpino, altra quella dell’ardito, del quale si deve sviluppare l’individualità. L’ardito non amava piegarsi agli ordini rigidi e senza motivazione: voleva essere illuminato sul proprio lavoro. La sua fiducia nei dirigenti dipendeva meno dal loro grado che dal loro valore personale: quando però aveva apprezzato un ufficiale lo seguiva poi ciecamente, in qualunque impresa.
Da parte loro, gli ufficiali nutrirono un sentimento paterno verso i dipendenti e nel mantenere la disciplina badarono più alla sostanza che alla parola dei regolamenti.
Questa specie di famigliarità scandalizzò qualche critico, che giudicò che fra gli arditi non ci fosse disciplina. Niente di più falso: si trascurava talvolta la forma rigida, tradizionale nelle caserme, ma nient’altro che questa forma. La gioventù intelligente, cosciente e varia, di cui si componevano i nostri reparti, fu sempre docilissima; non contano le piccole eccezioni, che, in un ambiente sì acceso avrebbero potuto provocare vasti incendii, e invece non turbarono mai la virile obbedienza della massa.
…  . La coercizione irrita gli animi bollenti e la scontentezza si incupisce talvolta in cattiveria. La mia esperienza mi dice che i battaglioni d’assalto che apparivano talvolta più regolari, erano meno morali e meno disciplinati di quelli in cui gli arditi potevano portare il, berretto sull’orecchio,la giubba sbottonata, le mani in tasca… e la fronte più alta e il cuore più aperto.
Ho sentito parecchi ufficiali di altri corpi, notare che gli arditi, meglio degli altri salutavano i superiori che incontravano sulla strada. …”
Due esempi, sempre narrati dal nostro Santo: “…Un giorno i nostri arditi, dopo aver pranzato in un’osteria di Treviso, si videro portare sopra un piatto un conto molto salato. Essi posarono sul piatto per saldo, una bella bomba; s’alzarono e finsero di andarsene, mentre padroni e serve, spaventati, li seguivano supplicandoli di riprendere quell’oggetto pericoloso …e dicendo che erano pronti a rimettere tutto il debito. Gli arditi ritirarono la bomba e posero sul piatto un biglietto di dieci lire, che, a loro giudizio, pagava giustamente quanto avevano consumato.
Padre Giuliani narra poi di un battaglione che accasermato presso una cascina dove dalla cucina penzolavano dei salami invitanti e dove l’aia era piena di galline, nell’accomiatarsi, il contadino gli dice: “ Che buoni figlioli! In tutto il tempo che sono stati in casa mia non mi è mancata la penna di una gallina né un salsicciotto!”
 
Un altro Ardito narratore è Giovanni Corsaro, che nel suo libro “Arditi di Guerra” Ed. Aurora MI. 1935 –XIII a pagina 19, descrive “Le Calunnie e le leggende sfatate”. Egli scrive:
Che cosa non si disse e che cosa non si inventò contro gli Arditi!
Coloro che più s’accanirono a denigrare ed a calunniare i magnifici soldati d’Italia, furono naturalmente i vili, i codardi, i panciafichisti, gli imboscati, e cioè i più pericolosi nemici della Patria.
Non contenti di avere in tempo di pace, e in nome di un ridicolo e falso idealismo umanitario, sabotato e ostacolato in tutti i modi e con tutti i mezzi l’organizzazione militare d’ Italia; non contenti d’aver trescato con i tedeschi nel periodo della neutralità per evitare l’intervento dell’Italia; non paghi di aver mancato all’appello della Patria e di essersi fraudolentemente sottratti al più sacro dei doveri di ogni cittadino; tentarono di minare la saldezza dell’esercito e di diminuire la sua resistenza, abbandonandosi alla più sozze e insultanti calunnie contro il corpo delle “Fiamme Nere” che costituiva, per loro, la più schiaffeggiante delle umiliazioni.
Così quelle voci calunniose, sparse ad arte e dapprima incerte e mormorate, finirono col diventare un’opinione diffusa; e da ciò nacquero purtroppo le leggende più fosche e insieme più ridicole, destinate ad offuscare la fama di quelli che furono riconosciuti i migliori soldati del mondo. … Si disse ch’era gente abituata a maneggiare il coltello, ad aggredire i viandanti, a percorrere  armate le boscaglie, ad operare dietro le siepi ad assaltare vetture e automobili per depredare i viaggiatori. Si disse, ancora, che i Reparti d’Assalto davano buoni risultati appunto perché erano formati da gente abituata al sangue e alla rapina; che con la loro costituzione autonoma si era voluto precisamente “epurare” i reggimenti degli elementi peggiori, e cioè isolare i delinquenti, i teppisti, i mafiosi, la feccia della società, gli avanzi di galera, tutti quelli, insomma, cha avevano vergognosi precedenti penali e che erano segnati sul libro nero della polizia.
Si aggiunse che gli Arditi assalivano e scannavano quanti carabinieri capitava loro di incontrare; che di notte andavano in giro a svaligiare  le case dei poveri paesi in cui erano accantonati o accampati; che facevano man bassa sui raccolti di ogni genere, pronti, ove i contadini avessero osato lagnarsi, ad ucciderli come cani, malmenando e violentando le loro donne. …”
 
Dunque, gli Arditi, sono descritti, al e dal popolo, come assassini e come gentaglia. In realtà alcuni fatti marginali sono accaduti, di poca importanza, tanto che rimandiamo il lettore al libro, edito dallo Stato Maggiore dell’Esercito –Ufficio Storico.  2007. “I Reparti d’Assalto italiani nella Prima Guerra Mondiale (1915-1918) scritto dal Colonnello Basilio Di Martino e dal Tenente Colonnello Filippo Cappellano, dove da pagina 915 è descritto il capitolo “La Disciplina”.

ARDITI ANAI: chi siamo...

 
 
 
Dopo la fine del I° conflitto mondiale, il I° gennaio 1919 viene fondata a Roma l’Associazione fra gli Arditi di Guerra, dal Tenente del XVIII Reparto d’Assalto, Mario Carli e, il giorno 19 gennaio a Milano, il Capitano degli Arditi Ferruccio Vecchi, del XXX Reparto d’Assalto, fonda la stessa associazione con Filippo Tommaso Martinetti, presso l’abitazione di quest’ultimo, sita in corso Venezia, 61. (L’Associazione era aperta ogni giorno dalle 15 alle 17).
Nel 1920 l’Associazione, gran parte subordinata a Gabriele d’Annunzio si assottiglia sensibilmente, quasi a scomparire. Subentra a Milano la sigla A.N.A.I. (Associazione Nazionale Arditi d’Italia) e per la prima volta si legge la scritta “nazionale”. Con lo statuto del 21 novembre 1920 riprende appieno l’attività, tanto che al I° Congresso Nazionale A.N.A.I., tenutosi a Milano, il Presidente Coletti annuncia pubblicamente la costituzione di 57 Reparti e di 20 in via di definizione.
L’Associazione, nel tempo, cambia diverse volte sigla, fino a che il Maggiore Alessandro PARISI, sul finire degli anni ’30, lo tramuta in Comando Reparti Arditi d’Italia (C.R.A.I.). Con tale denominazione rimane in vita fino al 2 agosto 1943, che con decreto legge 704. art. 2. G.U. 5.8.1943. n° 180, viene posta unitamente ad altre istituzioni combattentistiche, alla dipendenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il C.R.A.I. ricompare alla fine del 1943 per poi scomparire definitivamente il 25 aprile 1945.
Già nel 1943 il C.R.A.I. subisce la spoliazione di ogni suo bene e dei cimeli che costituiscono la testimonianza storica. La sede nazionale che si trova a Roma nella Torre dei Conti, in via dell’Impero, viene definitivamente chiusa. Per la nuova repubblica gli Arditi devono scomparire dalla storia, ma nel 1947, esattamente il 15 aprile, risorge a Roma e a Milano ad opera del Capitano Vittorio AMBROSINI e del Capitano Gianni CORDARA, assumendo la nuova denominazione di A.N.A.I.
Al Capitano Ambrosini, si avvicendarono alla Presidenza Nazionale il Colonnello Antonio FESTI, Giuseppe ALESSI, il Generale Arconvaldo BONACORSI, la M.O.V.M. Antonio SCIORILLI e infine il Maggiore Eugenio GRANDE, che era stato per tanti anni il Segretario Generale. Segue il comando al Capitano Gianni Cordara e alla di lui morte la Presidenza Nazionale viene affidata al Comandante Enzo Rancan. Per ultimo, e tutt’ora in carica, è Presidente Pierpaolo Silvestri.
Dal 1974 la sede nazionale si trova a Milano, dove col alterne vicende l’Associazione è vitale.
 
Oggi, l’A.N.A.I. pubblica, per soci e simpatizzanti, il trimestrale “L’Ardito”, fondato da Guido Carli e Ferruccio Vecchi nel 1919, indice conferenze, partecipa a manifestazioni pubbliche, ricorda con celebrazioni i Caduti e i Martiri di guerra, recluta nuovi iscritti, soprattutto giovani onde tramandare la sua storia e quella d’Italia.
 
All’A.N.A.I., resta a buon diritto, rivendicare l’assoluta priorità in campo nazionale, essendo indiscutibilmente l’erede diretta e ideologica, nonché l’ideale continuatrice di quel “GRUPPO ARDITI DI GUERRA” fondato nel 1919 dal Capitano Ferruccio Vecchi, con la sola interruzione dovuta a cause belliche, dal 25 aprile 1945 al 15 aprile 1947.
 

Come è nata l'A.N.A.I.

 
A cura del Pres. Naz. Pierpaolo Silvestri
 
Notizie tratte dal libro di GINO SVANONI. Casa Ed. Carnaro. Milano.1938- XVI E.F.
 
“MUSSOLINI E GLI ARDITI”
 
“….È doveroso riconoscere che l’ideatore e il realizzatore di una associazione fra tutti gli Arditi smobilitati fu l’allora Tenente Mario Carli del quale ricordiamo un suo primo articolo su Roma Futurista del 20 settembre 1918 esaltante le grandi possibilità avvenire dell’Ardito anche nella vita civile. Con tale articolo egli indicava acutamente i compiti dell’Arditismo italiano.
“Ormai –concludeva Carli- noi abbiamo una missione. L’Italia ha creato gli Arditi perché la salvino da tutti i suoi nemici. Bisogna sperare e chiedere tutto agli Arditi… Bisogna essere fieri di questo divino compito”.
“… La decisione di Carli di fondere l’Associazione fra gli Arditi d’Italia fu presa -col suo programma- pubblicato sul Popolo d’Italia del 27 dicembre 1918.” Fra l’altro proclamava: “Invito tutti gli Arditi che leggeranno questo manifesto a mandarmi qui a Roma (Via Boccaccia, 8) il loro nome e cognome, con l’indicazione del Reparto a cui appartengono e col proprio indirizzo borghese. Invito gli ufficiali a mandarmi, insieme al proprio nome, un elenco di militari di truppa da essi dipendenti, in modo che nessuno manchi di essere iscritto nelle liste dell’Associazione, …Fiamme Nere, Rosse e Verdi! Ieri gridammo: -A noi l’Onore!- e abbiamo vinto. Oggi bisogna lanciare un nuovo grido: -A noi l’avvenire!”
  Mario Carli Tenente del 18° Reparto d’Assalto”.
 
“La fondazione della Sezione di Milano
           “… Nel Popolo d’Italia del 14 gennaio 1919 … troviamo infatti pubblicato in grande neretto e senza firma il seguente appello:
           “Appello alle Fiamme nere!
           “Tutti gli arditi, ufficiali e soldati di tutte le fiamme nere, rosse, verdi, sono invitati a trovarsi stasera alle ore 19 nel cortile del “Popolo d’Italia” per ricevere la bandiera.
“Nessuno Manchi!”.
La bandiera era quella consegnata a Mussolini il 10 novembre, sulla quale gli Arditi avevano giurato con i pugnali sguainati.
           La Sezione degli Arditi non era ancora in funzione, ma gli Arditi –come si vede- erano già all’opera. Non avendo ancora una sede propria disponevano singolarmente di…due sedi: il giornale mussoliniano di via Paolo da Cannobbio… e la famosa Casa Rossa di Corso Venezia 65, dove Martinetti aveva aperto le porte del suo appartamento….
“…Il primo appello di costituzione associativa apparve nel “Popolo d’Italia” del 18 gennaio 1919 con le firme degli iniziatori
           “Tutti gli Arditi milanesi che intendono far parte dell’Associazione tra le Fiamme d’Italia, Sezione di Milano, possono iscriversi o mandare la loro adesione alla sede del “Movimento Futurista” in Corso Venezia,61 –Milano. I locali dove gli Arditi possono incontrarsi e ritrovarsi sono aperti dalle 15 alle 17 di ogni giorno.
           “Nessuno dei “veri Arditi italiani” mancherà all’appello!
           “I sottoscritti:
           “Ten. Barabandi Renato -Via De Amicis, 31; Zanchi Edmondo -Via Boito,4; Svanoni Gino -Piazza d’Armi 68; Borello Francesco –Corso Garibaldi, Caserma dei Profughi; sold. Braghi Mario –Via Sciesa. 19; Ten. Tresoldi Ernesto –Cassano d’Adda; sold. Meraviglia carlo –via Ariberto, 7; Cap. Spairani del 13° Fiamme Nere –Ospedale Sacro Cuore Palestina; Ten. Fulmini Antonio –Via Tiraboschi2; Ten. Di Giacomo –Via Castelmorrone,6; A. Ten. Bonichi Aleardo –Via Galvani, Ospedale Scuole; S. Ten. Mario Carlino –Via Canonica,92; Bigatti Guido –Corso Ticinese, 100; Volpi Albino –Via Pietro verri, 6; Valsecchi Pasquale –Piazzale Stazione Ticinese,5; Schiavini Dante Via Cicco Simonetta, 71; Cerini Augusto –Via Artieri, 11; Buzzi Antonio –Bastioni Magenta, 57; Zanoncelli Gino –Ospedale di Via Arena; Mandelli Mario –Via Vallone, 38; Ferro Euclide –Ospedale Albergo Popolare; Ceretta Giuseppe –Via Vincenzo Monti, 31; Bertolini Ettore –Via Vigevano, 13”.
           “Pochi giorni dopo, nel Popolo d’Italia” del 23 gennaio 1919, si dava notizia della costituzione avvenuta in un primo tempo sotto la denominazione di Casa di Mutuo Aiuto dell’Ardito….”
           Nel proclama pubblicato venivano dettate le gerarchie direttive:
“Presidente: Capitano Vecchi Ferruccio (30° Reparto d’Assalto).
Vice Presidente: Tenente Barabandi Renato (3° Reparto d’Assalto).
“Cassiere: Tenente Virtuali Alberto (52° Repartod’Assalto).
“Segretario: Caporale Dini Vittorio (7° Reparto d’Assalto.
Consiglieri: tenente Di Giacomo Renzo (11° Reparto d’Assalto); Ardit Buzzi Antonio (3° Reparto d’Assalto); Ardito Volpi Albino (25° Reparo d’Assalto); Tenente Piazza Ottavio (70° Reparto d’Assalto); Ardito Rapetti Giuseppe (70° Reparto d’Assalto); Tenente De Luca Gustavo (52° Reparto d’Assalto)”.
           Il libro  di Gino Svanoni prosegue con il ”Programma dell’Associazione Arditi” :
  • Art.   1- Il I° gennaio 1919, per iniziativa di mario Carli (tenente del 18§ Reparto d’assalto) è stata fondata a Roma l’Associazione fra gli Arditi d’Italia, appoggiata dal giornale  “Roma Futurista”, organo del Partito Futurista.
  • Art.    2- L’Associazione non ha scopo politico. L’Associazione ha lo scopo di riunire in un unico fascio tutti gli Arditi autentici, che combatterono volontariamente e coscientemente per la grandezza d’Italia, e di formare con essi una poderosa organizzazione di mutuo aiuto, di lavoro e di lotta, che continui in tempo di pace la spinta ascensionale della grande Nazione Italiana.
  • Art.   3- L’Associazione si propone di mantenere viva quella fiamma di idealità e quello spirito di ardimento che han fatto degli Arditi i migliori soldati del nostro esercito e di tutti gli eserciti in guerra, conservando nel Paese l’atmosfera dell’Arditismo (orgoglio italiano, spirito di avventura, interventismo, coraggio fisico e morale, adorazione dell’energia e solidarietà). Le balde giovinezze che hanno spalancato le loro giubbe di combattenti per dare più largo respiro ai loro cuori animosi si metteranno alla testa di ogni nuova lotta che si presenti, nel campo del pensiero e nel campo dell’azione, marciando in nome di due idealità: Italia e progresso.
  • Art.   4- L’Associazione rispetto a questo programma, sarà un vero rimorchiatore della grande massa del popolo, continuerà cioè ad essere, come in guerra, l’agilissima avanguardia della Nazione.
  • Art.   5- Un grande impulso sarà dato all’educazione fisica e all’esercizio muscolare, creando palestre,gare sportive, clubs ginnastici, scuole di boxe e di scherma, e tutto ciò che potrà tenere in allenamento i giovani avvezzi alla energia della vita di guerra.
  • Art.  6- Per la parte economica, l’Associazione si propone di tutelare con la massima imparzialità gli interessi collettivi e personali dei soci e quali, nella loro qualità di combattenti a di Arditi, hanno diritto di veder debitamente riconosciuti i sacrifici fatti per la gloria d’Italia, e di non essere posposti in nessuna circostanza a coloro che questi sacrifici non hanno affrontato, o li hanno affrontati in misura inferiore, o li hanno subiti loro malgrado.

L’Associazione si preoccuperà immediatamente del gravissimo problema della disoccupazione, cercando di evitare con ogni mezzo che nelle sue file, formate da giovani esuberanti, le cui energie non possono rimanere neppure un giorno inerti, vi siano disoccupati.

  • Art.   7- Nell’Associazione fra gli Arditi possono entrare
  1. Coloro che prima dell’Armistizio hanno fatto parte di un Reparto d’Assalto (Fiamme nere, Fiamme rosse, Fiamme verdi) e che non ne furono allontanati d’autorità mper mancanza di requisiti necessari.
  2. Coloro che prima dell’armistizio hanno fatto parte dei plotoni o nuclei di Arditi reggimentali di fanteria (compresi granatieri, bersaglieri, alpini, ecc.)
  3. Coloro che sono entrati nei Reparti d’Assalto dopo la firma dell’armistizio, puechè possano dimostrare di averne fatto domanda prima del 24 ottobre 1918 (inizio dell’ultima battaglia).
  • Art.   8- Le quote d’associazione sono le seguenti: Per ufficiali L. 10 all’anno; per sottufficiali L. 5; per militari di truppa L. 3 all’anno pagabili in due rate semestrali
  • Art.   9- Agiscono finora tre Comitati d’azione: uno a Roma (Corso Umberto, 101) è composto dei seguenti Arditi: Capitano Mario carli, tenente Umberto Beer, tenente Alberto Businelli, tenente Orazio Postiglioni, tenente Argo Secondari, sottotenente Nino Racchella. L’altroa Milano (presso la Dirazione del Movimento Futurista, Corso Venezia, 61) appoggiato dal Popolo d’Italia, è composto dai seguenti Arditi: Capitano Ferruccio Vecchi, tenente Renato Barabandi, tenente Alberto Virtuali, tenente Renzo Di Giacomo, caporale Dini Vittorio, ardito Buzzi Antonio. Ed uno a Torino (presso l’Associazione Nazionale Reduci ZonaOperante, Galleria Subalpina) è composto dai seguenti Arditi: Capitano Covre, sottotenente Italo Orciai.
  • Art.  10- Coloro che chiedono di far parte dell’Associazione, sono pregati d’inviare, insieme alle quote di associazione, il proprio indirizzo militare e civile e il proprio stato di servizio (campagna, ferite, decorazioni, ecc.). Questo stato di servizio sarà descritto sopra una tessera-distintivo che verrà distribuita gratuitamente a tutti i soci e che sarà un titolo di merito di grande valore per chi lo possiederà.
                                            
                                                dal “Popolo d’Italia” del 19 febbraio 1919) “.


 


 
Il Comandante
PIERPAOLO SILVESTRI
(Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Romana)
Presidente Nazionale della A.N.A.I.
Associazione Nazionale Arditi d'Italia
 

mercoledì 15 gennaio 2014

Presentazione del libro: Mercenario


Junio Valerio Borghese, il Principe Nero

Junio Valerio Borghese, il Principe Nero

Le sue numerose operazioni eroiche e l'eleganza aristocratica ne fanno uno dei personaggi più affascinanti del Novecento

 
‘Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa e il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo’
 
“Anch’io, in quei giorni del settembre 1943, fui chiamato ad una scelta. E decisi la mia scelta. Non me ne sono mai pentito. Anzi, quella scelta segna nella mia vita il punto culminante, del quale vado più fiero. E nel momento della scelta, ho deciso di giocare la partita più difficile, la più dura, la più ingrata. La partita che non mi avrebbe aperto nessuna strada ai valori materiali, terreni, ma che mi avrebbe dato un carattere di spiritualità e di pulizia morale al quale nessuna altra strada avrebbe potuto portarmi. In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive,  di come si muore. Una guerra si può perdere ma con dignità e lealtà. La resa e il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo”.
 
Sono parole di Junio Valerio Borghese. Sommergibilista, Tenente di Vascello, comandante della storica X Flottiglia Mas. Nei giorni successivi all’8 settembre Borghese fa a sua scelta, chiara, inequivocabile: “All’8 settembre, al comunicato di Badoglio, piansi. Piansi e non ho mai più pianto … Perché quello che c’era da soffrire per ciò che l’Italia avrebbe vissuto come suo avvenire, io l’ho sofferto allora. Quel giorno io ho visto il dramma che cominciava per questa nostra disgraziata nazione che non aveva più amici, non aveva più alleati, non aveva più l’onore ed era additata al disprezzo di tutto il mondo per essere incapace di battersi anche nella situazione avversa”.
 
La resa dell’8 settembre non è una bella pagina nella storia d’Italia. Lo stesso Dwight D. Eisenhower, comandante in capo delle Forze Alleate, scrive nel suo Diario di guerra che ‘la resa dell’Italia fu uno sporco affare. Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l’Italia è la sola ad avere perduto questa guerra con disonore salvato, solo in parte, dal sacrificio dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana”. E infatti è convinzione di Borghese che il re e Badoglio, con la firma dell’armistizio, abbiamo abdicato ogni autorità, avendo commesso un tradimento nei confronti del popolo italiano, rinunciando a salvaguardare la civiltà europea dal predominio americano e sovietico. Non solo: l’Italia ha perso di credibilità sia nei confronti dell’alleato che del nemico “per il disprezzo sia degli alleati traditi che dei vincitori con cui si cerca, vilmente, di accordarsi”. È interessante anche un’altra affermazione di Borghese: “non mi sembra che tali convincimenti e sentimenti abbiano un’impronta fascista: appartengono al patrimonio ideale e morale di chiunque”. E ancora: “fu fascista la RSI? Per me, la RSI rispose ad un’esigenza morale e nazionale; avrebbe potuto formarsi anche senza Mussolini. Non va confusa con il fascismo tradizionale. Alla RSI aderirono uomini che non erano mai stati fascisti e si trovarono a fianco con fascisti del Ventennio per un ideale più alto di quello di un partito”, come riferisce Ruggero Zangrandi nel suo “1943: 25 luglio-8 settembre” edito da Feltrinelli.
 
“… L’esperienza per me più interessante ed importante dal punto di vista politico, formativo e dell’esistenza – dice ancora il Principe Nero – è stata quella successiva all’8 settembre. Prima era tutto piuttosto semplice. Si trattava di compiere il proprio dovere senza scelte personali. non c’erano problemi. L’8 settembre ci ha messo di fronte a molti dilemmi, a esami di coscienza, alle responsabilità da prendersi verso noi stessi, verso le istituzioni alle quali appartenevamo, per me la Marina, e verso gli uomini che da noi dipendevano. Quindi, da quel momento, hanno cominciato a pesare fattori di ordine spirituale e politico”.  
 
Le sue numerose operazioni eroiche e il tentato golpe del 1970, intorno al quale sono fiorite le più varie ipotesi e di cui si è a lungo favoleggiato, fanno di lui un personaggio romanzesco e a tratti misterioso.
 
Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, Medaglia d’oro e di bronzo al valor militare, Medaglia commemorativa della guerra di Spagna, Medaglia d’argento al valor militare nella RSI, Croce di Ferro di 1 classe, Croce di Ferro di 2 classe, Junio Valerio Borghese, il Principe Nero, è uno dei personaggi più affascinanti della storia del Novecento.
 
Emma Moriconi

http://www.ilgiornaleditalia.org/news/cultura/851584/Junio-Valerio-Borghese--il-Principe.html

 

venerdì 10 gennaio 2014

"Ali infrante" di Orazio Ferrara


“Ali infrante / Storie dimenticate della Regia Aeronautica” di Orazio Ferrara

In una certa Italia dell’ultimo dopoguerra parlare o scrivere delle vicende di uomini in divisa, che avevano combattuto con onore, spesso a prezzo della vita, per la Patria, era oltremodo difficile e scomodo nel migliore dei casi, nel peggiore ciò era considerato una provocazione. Eppure ancora oggi non è facile. E’ il vecchio dramma dell’Italia, del passato che non passa. Mai. Dove non si riesce ancora a storicizzare eventi accaduti decine e decine di anni fa. Dove molti, da destra e da sinistra e anche dal centro, non riescono a fare con serenità i conti con la nostra Storia nazionale, che si vuole a forza ingabbiare nelle trincee contrapposte della quotidianità della fazione politica. Eppure a quegli uomini settant’anni fa fu data loro una consegna, giusta o sbagliata, combattere per l’Italia. A quest’ultima consegna non vennero mai meno, anche a costo delle loro giovani vite. Per questo essi sono degni di memoria. Ogni comunità nazionale, nella sua interezza, dovrebbe essere fiera di annoverarli quali figli, in quanto uomini che trascendono la stessa trincea in cui si battono, e che pertanto diventano un esempio di lealtà, di dedizione e di coraggio, valido per tutti in ogni tempo. Dunque una comunità umana merita questo nome, quando ricorda con orgoglio i suoi figli migliori, anche se questi emergono da pagine buie e drammatiche, che l'inconscio vorrebbe rimuovere, come quelle della seconda guerra mondiale. Quest'ultima intima convinzione ha guidato l’Autore nello scrivere il presente libro.

Un libro che racconta di storie di uomini con le fascinose e belle mostrine della Regia Aeronautica. Di storie dimenticate e di ali spezzate. Come quella del pilota legionario e medaglia d’oro Federico Cozzolino, uno che suscita ammirazione per il non tirarsi mai indietro, costi quel che costi. Un gigante nella sua ora più tragica quando, ancora sanguinante per le gravi ferite riportate a seguito del lancio col paracadute, viene preso dai miliziani repubblicani spagnoli ed egli non abiura la causa per cui combatte, pur di fronte alla minaccia dei fucili spianati. Abiura che gli avrebbe permesso di aver salva la vita. Anzi fa di più, testimonia la sua appartenenza col grido di Arriba Italia per meglio farsi comprendere e viene, all'istante, barbaramente trucidato, e ciò in spregio a tutte le leggi di guerra. Per sessantacinque anni Federico Cozzolino ha aspettato in silenzio in quella scarna tomba di un cimitero spagnolo. Ma troppo grande era l’amore per la sua terra e infine, malgrado i faziosi e perduranti veti, è tornato finalmente a casa, avvolto in un tricolore a mo’ di sudario e  in un’atmosfera non greve né triste, ma di silenziosa gioiosità come si conviene per il ritorno delle spoglie di un coraggioso, mentre qualcuno riandava con la mente a versi già scritti per Federico un giorno lontano: com’aquila / con la fronte nel sole.

O come la storia del filosofo volante o del pilota matto ovvero di Vittorio Beonio Brocchieri, un pilota della Regia veramente fuor dall’ordinario. Filosofo, professore universitario, scrittore, giornalista, pilota d’aerei, trasvolatore, capitano della Regia Aeronautica, guerriero. D’altronde lui stesso si era definito uomo prismatico, sintetizzando così quel suo vivere pericolosamente tra mille luci e bagliori nell’azzurro dei cieli. Dunque un uomo d’azione e di pensiero al massimo grado. Una figura davvero dannunziana a tutto tondo. Fu nella guerra d’Etiopia che iniziò per Beonio Brocchieri la leggenda del pilota matto. E l’appellativo non gli fu affibbiato a caso da Indro Montanelli. In diuturna avanscoperta sulle ambe abissine, per segnalare, in collegamento radio, eventuali agguati alle nostre colonne in rapida avanzata. Azzardati decolli e rocamboleschi atterraggi su inesistenti piste, che gli costarono più di un velivolo malamente scassato. E veramente in quei momenti il coraggio rasentava la pazzia. L’azione lo coinvolgeva totalmente giorno e notte, eppure non si dimenticava affatto di scrivere succose corrispondenze di guerra per i suoi affezionati lettori del Corriere della Sera.

Ma il libro narra anche di figure che, pur non offrendo alcun episodio di eclatante eroismo, sono tutte intrise di quel silenzioso, quotidiano, minimale eroismo, quello più difficile da mettere in atto perché richiede una continua tensione ideale nella vita di ogni giorno. Come quella del sergente marconista Mario Mancusi, caduto col suo aereo in missione di guerra, una vita per l’Italia il cui migliore epitaffio resta quello del desolato e vecchio padre, che in una lettera, datata 4 novembre 1942, così scriveva: … nulla mai chiese, tutto sempre dando, prodigandosi fino al possibile ed anche oltre, per la sua Patria che egli voleva grande, temuta e rispettata.

O come quella dell’ing. Michele D’Amico e del suo diario di guerra, quand’era, nell’anno 1943, giovane sottotenente della Regia Aeronautica di stanza all’aeroporto della Margana nella piazzaforte aeronavale di Pantelleria. Passato alla storia patria per la famosa frase Ma perché ci siamo arresi?, quando da Radioponte Pantelleria parlò col generale Monti del Comando Aeronautica Sicilia di base a Catania. Il D’Amico fu testimone chiave nel dopoguerra nel famigerato processo degli ammiragli contro lo scrittore Antonino Trizzino, reo di aver rivelato nel suo libro Navi e poltrone, tra l’altro, anche gli squallidi retroscena della resa di Pantelleria per viltà dei capi. Anche per merito suo quel processo diventò poi processo agli ammiragli, salvando il Trizzino da un’ingiusta condanna e ristabilendo così la verità storica.

Una costante del libro è quella di aver saputo bandire dalle sue pagine la retorica, anche perché scrivere degli uomini in guerra, c'è facilmente il rischio di scadere in essa, d’altronde sempre in agguato in storie del genere. L'orripilante retorica delle belle parole altisonanti, che alla fine finisce per sporcare tutto e tutti, perfino i caduti. Il vero eroismo fugge la retorica come la peste.

Orazio Ferrara - Ali infrante / Storie dimenticate della Regia Aeronautica - IBN Editore, Roma, 2014

162 pp., con numerose foto, € 15

IBN Editore, Via dei Marsi, 57 - 00185 Roma, Tel & Fax: 0039 06 4452275 - 0039 06 4469828 - e-mail: info@ibneditore.it

giovedì 9 gennaio 2014

Il "barone nero" Roberto Jonghi Lavarini

 
Roberto Jonghi Lavarini socio benemerito della
Associazione Nazionale Arditi d'Italia
 
 
Roberto Jonghi Lavarini ha 40 anni, è felicemente sposato con Veronica ed ha due figlie di 11 e 6 anni, Beatrice e Ludovica. Laureato in Scienze Politiche alla Università Statale di Milano, lavora come consulente immobiliare (compravendita e ristrutturazioni) nella società di famiglia ed è iscritto a diverse associazioni di categoria. Cristiano Cattolico praticante, fedele alla Tradizione, è Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e Volontario del Corpo Italiano di Soccorso del Sovrano Militare Ordine di Malta. Appassionato di storia, cultura, araldica, tradizioni religiose e popolari, enogastronomia e sagre paesane, è molto legato alle radici ed alla identità Walser (tedesco-vallese) della propria famiglia e fa parte del gruppo folkloristico del suo paese di origine, Ornavasso. Da sempre coerente militante di destra, è stato: Segretario del Fronte della Gioventù di Milano, Dirigente Provinciale del Movimento Sociale Italiano, Dirigente Regionale di Alleanza Nazionale e della Fiamma Tricolore della Lombardia, Consigliere Circoscrizionale e Presidente della Zona Porta Venezia, per due volte candidato alla Camera dei Deputati come Indipendente ne La Destra. Attualmente, per scelta, non ricopre alcuna carica politica e non è iscritto a nessun partito ma collabora con svariate associazioni culturali e testate giornalistiche, partecipando a diverse trasmissioni televisive come opinionista. http://www.robertojonghi.it/

 
Antica famiglia Walser (tedesco-vallese) della Vall d’Ossola, gli Jonghi Lavarini sono i legittimi discendenti dei nobili carolingi Crussnall primi signori feudali di Ornavasso, poi trasferitisi in Svizzera. Il Capostipite di questa importante Sippe germanica, storicamente presente in tutte le valli del Monte Rosa, è Jocellino I von Urnavas, citato nel 1275 come Visdomino di Naters. Da suo nipote Jocellino II “Jung” (il giovane), discendono appunto gli Jonghi von Urnavas che furono fra i promotori della colonizzazione walser delle Alpi, spingendosi, oltre il passo del Sempione, fino a fondovalle, a Casaleccio, Ornavasso e Migiandone, rivendicando la titolarità su quelle terre.  Nel 1486, il Vescovo di Sion, Iodico von Syllinen, Signore del Vallese e Principe del Sacro Romano Impero, rivendicando il legittimo dominio su quelle terre, nominò, suo Curatore, il Ritter (Cavaliere) Theodorus Jongh, riconoscendolo erede dei primi signori di Ornavasso  (poi trasferitisi nel Vallese) con lo spettante titolo di Freiherr von Urnavas. Già nel 1495, però, il Ducato di Milano ed i Visconti rientrarono definitivamente in possesso della Baronia di Ornavasso, accordandosi con le “locali genti alemanne” (Walser), alle quali venne concessa una larga autonomia.  Da allora i “todeschi Jonghi di Urnavas” sono sempre citati  negli eventi storici della valle. In particolare, nel 1575, Pietro ed Angelino Jonghi, partecipano alla costituzione degli Statuti di Ornavasso in quanto “cardenzari et uomini particolari di detto luoco”.  Nel 1605, gli Jungen Urnavas sono citati nel “Wappenbuch des Heligen Romischen Reichs” (registro degli stemmi del Sacro Romano Impero). Nel corso dei secoli possedettero molte terre agricole, pascoli, boschi, cave di marmo e palazzi signorili (ancora esistenti come quelli di Ornavasso, Vogogna e Piedimulera), imparentandosi con le più importanti famiglie del Verbano-Cusio-Ossola. Dal 1738 gli Jonghi furono sempre presenti nel Consiglio Generale dell’Ossola come Patriziato Aggregato. Nel 1900, S.M. Re Umberto I concesse al Nob.Cav.Ing. Cesare Jonghi di aggiungere al proprio cognome ed al proprio stemma anche quelli materni dei nobili Lavarini (famiglia di remota origine veneta, di medici ed impresari, decurioni e sindaci, citata fin dal 1575). http://www.genmarenostrum.com/pagine-lettere/letteraj/jonghilavarini.htm


Intervistiamo Roberto Jonghi Lavarini (41 anni, noto esponente della destra milanese, opinionista radio televisivo, ex dirigente del MSI e di AN, già presidente della zona Porta Venezia): uno "politicamente scorretto e senza tanti peli sulla lingua". D (domanda) – R (risposta) D - Ti abbiamo sentito alla Zanzara sotto il fuoco incrociato di Cruciani e Parenzo… R - Si, è un bel ring anche se alla radio è impossibile spiegare bene i concetti, difendersi e replicare. Mi dispiace solo essere stato obbligato a parlare solo del passato e non del presente, tantomeno del futuro. Comunque, sia chiaro: non mi vergogno affatto delle mie idee e non ho certo paura di esprimerle liberamente. Io non rinnego nulla e non mi tiro indietro davanti ad una sfida. Il mio giudizio storico sul Fascismo e Mussolini rimane assolutamente positivo. Anzi, a dirla tutta, di fronte alla attuale crisi dell’occidente, causata dalle speculazioni della plutocrazia internazionale, incomincio anche a capire ed a rivalutare certe scelte politiche ed economiche della Germania Nazional-Socialista. La storia del secolo scorso è tutta da riscrivere... D - Ti abbiamo anche letto sui giornali parlare di Grillini e Lepenisti… R - Ho semplicemente riportato dei fatti assolutamente noti: Marine Le Pen, in vista delle prossime elezioni europee del 2014, vuole giustamente costituire un fronte europeo dei popoli e delle nazioni, e, attraverso tutta una serie di contatti ed incontri,  cerca degli interlocutori affidabili anche in Italia. Mi hanno però assicurato, dalla sua segreteria politica, che non vi è e non vi sarà  mai alcun accordo con il Movimento 5 Stelle. Ad oggi, quindi, gli unici referenti ufficiali del Front National francese, rimangono solo la Fiamma Tricolore e La Destra che, non a caso, hanno ripreso ed accelerato il processo di riunificazione della destra sociale italiana. D - Infatti, sabato sarai a Roma alla rifondazione di AN lanciata da Storace… R - Quella di riesumare la vecchia Alleanza Nazionale è evidentemente solo una provocazione politica, rivolta soprattutto agli amministratori della omonima fondazione (che gestisce il patrimonio del MSI) ed ai Fratelli d’Italia: l’obbiettivo è, finalmente, quello di riunire, rinnovare e rilanciare la destra italiana, partendo dall’appello lanciato, a suo tempo, da Marcello Veneziani e dal  progetto Itaca. Urge un nuovo movimento anti-mondialista che difenda veramente l’identità, la sovranità, i sacrosanti interessi del nostro popolo e della nostra nazione. Bisogna fare massa critica, voltare pagina, chiudere con vecchi rancori e polemiche. Su questa strada obbligata (non solo dallo sbarramento elettorale del 4%), i nostri primi e naturali interlocutori non possono che essere gli amici di Officina per l’Italia. D - Veniamo a Milano, quale è il tuo commento sul Far West di Quarto Oggiaro? R - Conosco bene quel quartiere difficile e, durante la campagne elettorali, in mezzo a centinaia di cittadini assolutamente perbene, ho incrociato anche diversi pregiudicati, alcuni dei quali cercavano veramente di cambiare vita ma non è facile. Lo stato deve fare sentire tutta la sua autorità ed autorevolezza, innanzitutto dando risposte concrete (case popolari, asili nido, spazi per i giovani, sussidi per gli anziani, istruzione e supporto al mondo del lavoro) e secondariamente con una presenza costante e visibile delle forze di polizia. Per sradicare la criminalità ed il degrado, servono “il bastone e la carota”, ovvero legge ed ordine (anche “il pugno di ferro” quando serve) ma insieme a giustizia sociale. Ma in quella zona, è giusto ricordare che ci sono anche tanti esempi positivi: parrocchie, centri sportivi, associazioni culturali e di volontariato e tanta solidarietà. D - Quale è il tuo giudizio sui governi locali di Pisapia, Podestà e Maroni? R - Quello sulla giunta rossa del radical-chic Pisapia è assolutamente pessimo: ha diminuito fortemente la sicurezza ed il benessere dei milanesi, tartassato famiglie e commercianti, abbandonato le periferie, difeso solo zingari e leonkavallini, riempito di consulenze e soldi pubblici i propri compagni di merende. La giunta provinciale ha lavorato benino ma, contando veramente poco, non se ne è accorto nessuno. E dalla Regione Lombardia, dopo tutte le incoraggianti promesse elettorali di cambiamento di Maroni e della sua lista civica, sinceramente, mi sarei aspettato di più, ma è ancora presto per giudicare, diamogli ancora qualche mese. La verità è che in questa crisi sistemica della democrazia, i partiti e le assemblee elettive contano sempre meno e la classe dirigente selezionata è sempre più mediocre e meno autonoma. Bisogna tornare alla grande e buona Politica, fatta con disinteresse e passione, per la propria comunità, ognuno con le proprie idee. D - Ma quali sono le tue proposte concrete per uscire da questa grave crisi sociale? R – Grazie della domanda, finalmente parliamo di cose concrete! Le famiglie e le imprese italiane sono soffocate dalle tasse e dalla burocrazia, non si riesce più a lavorare e, in certi casi, nemmeno a sopravvivere. E per abbassare questa vessatoria e insopportabile pressione fiscale, oltre a fare tagli (e di carrozzoni inutili e sprechi ce ne sono ancora tantissimi), bisogna rivoluzionare il sistema economico dello stato, rivedere i trattati europei, riprenderci la nostra piena sovranità monetaria, nazionalizzare la Banca  d’Italia, vietare e punire severamente le infami speculazioni dell’alta finanza privata internazionale che sono la principale causa di questa crisi. D - Ora arriva il giochino del botta e risposta. Ad ogni nome che faccio voglio un definizione sintetica o un tuo commento veloce. D - Erich Priebke: R - Un soldato tedesco che ha ubbidito ad ordini superiori. Pace all’anima sua. D - Papa Francesco: R - Simpatico, comunicativo, nazionalpopolare ma io preferivo Benedetto XVI. D - Silvio Berlusconi: R - Un sincero anticomunista. Un grande uomo, con più pregi che difetti. D - Alba Dorata: R - Onore ai due giovani patrioti greci ammazzati dai sicari del mondialismo. D - Primavera Araba: R - Una tragedia. Io difendo i cristiani perseguitati ed in Siria sostengo Assad. http://destrapermilano.blogspot.it/2013/11/intervista-roberto-jonghi-lavarini-7.html

mercoledì 8 gennaio 2014

"I Gruppi Rionali Fascisti di Milano"

 
"I Gruppi Rionali Fascisti di Milano"